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Il futuro della professione veterinaria


La Fnovi ha recentemente pubblicato i risultati di un’indagine commissionata a Nomisma, sulle prospettive future della professione veterinaria. Come sottolineato dal presidente di FNOVI, dott.Gaetano Penocchio, con questa indagine la FNOVI ha voluto aprire agli employere agli stakeholder realizzando centinaia di interviste a imprese, associazioni di produttori, consorzi, enti pubblici e soggetti “datoriali” che possono dare impiego ai medici veterinari , tra cui anche il Mastitis Council Italia.

Dal rapporto si rileva come in vent’anni i Medici Veterinari sono raddoppiati fino agli attuali 30.415. Un quarto degli iscritti sarà già in pensione al 2030, mentre una percentuale analoga prevede che lavorerà meno o sarà disoccupato. Le aspettative meno favorevoli sono espresse dalla componente pubblica dei veterinari, tanto negli enti pubblici che nell’università e nella ricerca. Per il 77% i Medici Veterinari italiani sono liberi professionisti – di cui al 76% operanti nella clinica degli animali da compagnia- e solo il 30% di loro ritiene di poter avere nel prossimi quindici anni una stabilità professionale che dia continuità lavorativa e di reddito. La netta maggioranza è fortemente tentata dal pessimismo e non prevede cambiamenti sostanziali per i prossimi 15 anni.

Il pessimismo soggettivo dei liberi professionisti appare contraddetto da un 60% di loro che ritiene comunque che da qui al 2030 la clinica degli animali da compagnia continuerà ad essere la competenza più richiesta. Le Università, invece – a dispetto del forte richiamo “romantico” esercitato dalla medicina degli animali da compagnia fra gli studenti – vedono nel settore dell’igiene degli alimenti l’ambito di sbocco preminente, pur non potendo contare su piani di studio coerenti con questa indicazione.

In questo ambito, il dott. Penocchio sottolinea, inoltre, che se nei pubblici dibattiti ci si riempie orgogliosamente la bocca di “sicurezza alimentare”, l’impietosa oggettività del dato statistico evidenzia che solo una minoranza veterinari vi si dedica, che le sedi nevralgiche della sicurezza alimentare – la produzione primaria, i luoghi della trasformazione, del controllo qualità – sono ampiamente disertati.

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